Kemet, come abbiamo già visto, era un Paese a vocazione agricola. Le inondazioni annuali del Nilo rendevano talmente fertile la campagna che i raccolti di frumento, orzo e farro erano abbondanti e quasi sempre in esuberanza rispetto alle necessità di sopravvivenza della popolazione. Da questa abbondanza derivava anche un grande vantaggio per l’allevamento del bestiame, aspetto speculare del mondo agricolo, esteso soprattutto nelle grandi pianure umide del Delta del Nilo.
Fin dai primi vagiti delle Civiltà Predinastiche la gestione del surplus dei raccolti fu la scintilla di Icaro di quella organizzazione statale che arrivò per gradi allo Stato Faraonico. L’accumulo delle riserve in depositi sociali e solidali aveva lo scopo di garantire la sopravvivenza anche nelle annate di carestia ( scarsa inondazione, invasione di locuste, disastri climatici) ma anche di collante politico intorno alla figura di un Capo che garantisse in modo lungimirante la gestione del bene collettivo.
Quando parliamo di bestiame parliamo soprattutto di bovini; i suini venivano utilizzati a scopo alimentare in misura marginale, come era il loro allevamento ( complice il clima che rendeva pericoloso l’uso della carne di maiale) e gli ovini ( molte razze di capra ma non pecore) che erano allevati in stato semibrado e senza particolare rilevanza nell’economia alimentare.
Numerosi erano gli asini, compagni pazienti, infaticabili e fedeli delle fatiche umane. Per tutta la durata della Civiltà Egizia l’asino fu l’inseparabile coadiutore di ogni attività, e costituiva il patrimonio più cospicuo di ogni lavoratore che ne possedesse uno. Frequentissime le raffigurazioni di uomini al lavoro dove questo animale appare al loro fianco; la sua presenza era talmente importante che compare spesso nella letteratura. Si pensi che la malattia dell’asino costituiva addirittura giustificato motivo di assenza dal lavoro, per consentire al proprietario di dedicarsi alle sue cure.
Il cavallo era conosciuto da sempre, ma non era né numeroso né addomesticato, al punto che non veniva utilizzato nei lavori agricoli, dove gli erano preferiti i bovini.
Questo equino divenne invece importante e apprezzato, come animale nobile per la guerra e la caccia, solo quando gli egizi videro l’uso che ne facevano gli Hyksos, cioè le popolazioni siropalestinesi che occuparono e dominarono gran parte del nord egiziano durante il “ Secondo Periodo Intermedio” ( 1750-1550 AC circa).
Da questo momento, il cavallo divenne indispensabile per il traino dei Cocchi, sia da guerra che da caccia, anche se durante tutta la storia egiziana, fino all’epoca greco-tolemaica, non venne mai utilizzato come cavalcatura o per i lavori dei campi.
Anche se può apparire singolare, per noi abituati da sempre all’iconografia dell’Egitto moderno, non esisteva il dromedario, già diffuso invece nelle pianure asiatiche a nordest della Mesopotamia. Siccome questo camelide non appare mai nelle raffigurazioni ( dove invece si incontra ogni tipo di animale, domestico o selvaggio, raffigurato con pignola precisione , quasi come in una enciclopedia zoologica), si può desumere che non venisse utilizzato neppure dalle carovane che, fin dal periodo predinastico, arrivavano incessantemente in Egitto dal Retenu.
Retenu era il nome con cui gli Egizi definivano i territori degli attuali Libano, Palestina, Siria e Giordania, che consideravano area di propria influenza esclusiva, insostituibili per il rifornimento delle materie prime necessarie; in termini geopolitici, inoltre, il Retenu costituiva la zona cuscinetto, una sorta di cintura di sicurezza, verso il pericolo di invasione o di migrazioni incontrollate da nordest. Gli scambi commerciali con questi territori sono comprovati da innumerevoli reperti che documentano come già durante il quarto millennio AC, quando ancora l’Egitto non era stato unificato, le merci viaggiassero da e per quelle regioni.
Importantissima risorsa era il papiro, che cresceva spontaneamente lungo le sponde paludose.
Le piante più grandi e di migliore qualità fornivano steli che venivano battuti con mazzuoli di legno e poi sovrapposti in modo ortogonale in modo da creare fogli che, ulteriormente battuti e trattati con acqua, si compattavano naturalmente in modo uniforme.
Su questi fogli, lunghi fino a molti metri, si poteva scrivere senza che gli inchiostri sbavassero e, raccolti in rotoli, costituivano la materia di base per la gigantesca macchina burocratica e amministrativa egizia.
Sin dalle origini, infatti, era norma custodire negli archivi dello Stato e dei Templi ogni tipo di documento: inventari, mappe catastali, imposte incassate, tributi stranieri percepiti, verbali di giustizia civile e penale, testi scientifici, annuari, relazioni di ispezioni, registrazione di incarichi, testi scolastici, ammonimenti, novelle e ogni genere di prosa letteraria; insomma, tutto quanto riguardasse una amministrazione pignola e onnipresente, nonché la conservazione in memoria di ciò che dal passato meritava di essere tramandato.
Il supporto in papiro era scarso rispetto alla necessità e quindi molto costoso e veniva pertanto usato solo per manoscritti definitivi e importanti; per gli esercizi, le brutte copie, gli appunti si usavano invece cocci di vecchie anfore o vasi ( chiamati da noi, con voce greca “ Ostraca”) che venivano gettati dopo l’uso.
Gli steli scartati della pianta erano usati in quantità per uso di cesteria e, fin dalla preistoria, anche uniti in fasci e legati per costruire le agili piroghe dei pescatori nilotici.
Il lino era il materiale tessile per eccellenza, se non praticamente l’unico, sin dalla notte dei tempi. Per l’artigianato dell’abbigliamento e della biancheria ne servivano enormi quantità, prodotte interamente in patria. Questa industria produsse sin dai tempi più antichi prodotti di qualità eccelsa e di gusto molto raffinato al punto che oggi, 4 o 5 millenni dopo, possiamo ammirare nei Musei abiti, stole, veli, biancheria, anche intima, che non avrebbero sfigurato nei corredi delle nostre nonne.
Va detto per inciso che la lana era quasi sconosciuta, se non per gli indumenti che gli egiziani vedevano indossati dagli stranieri. Essenzialmente la causa fu il mancato allevamento della pecora ma nondimeno anche le caratteristiche del clima egiziano, che rendeva questo materiale, caldo e facilmente irritante per la pelle: inadatto all’abbigliamento; va anche detto che gli abiti di lana, lavorati ed usati dai pastori seminomadi della Palestina e della Mesopotamia, subivano anche il sottile pregiudizio che ogni egiziano nutriva verso le popolazioni “ asiatiche” considerate, senza eccezioni, infide, incolte e sostanzialmente inferiori.
Altre importanti risorse alimentari autoctone erano il miele, i frutti ( datteri di molte qualità, fichi, uva e carrubo) e le verdure, di cui facevano larghissimo uso, con una speciale predilezione per porri e cipolle.
Il pesce, che veniva conservato esiccandolo al sole, era la fonte primaria di proteine, ed era talmente abbondante nel Nilo che si trattava di un cibo considerato povero, popolare e non particolarmente ambito.
La carne, di ogni tipo e qualità, da allevamento o cacciagione, era abbondante, ma veniva considerata un bene di lusso; i ceti agiati ne facevano uso abituale mentre la popolazione minuta poteva accedervi solo occasionalmente.
Poiché i sacrifici agli Dei erano in buona parte costituiti da animali e il culto nei moltissimi Templi ne pretendeva una grande quantità, i sacerdoti addetti alla cura del Dio godevano del privilegio di potere usare per sè quanto esposto sugli altari e consumato dal Dio solo in modo magico e virtuale; non a caso la rappresentazione in pittura o in scultura dei sacerdoti, li mostra quasi sempre pingui e appesantiti.
Anche se l’Antico Egitto era molto più ricco di alberi di quanto appaia ora, disponeva però solamente di legname poco pregiato e non adatto alla costruzione delle grandi e numerosissime imbarcazioni ( lunghe fino a una cinquantina di metri) di cui aveva estremo bisogno un paese che aveva nel Nilo la sua unica via di comunicazione. Anche per l’edilizia e per la falegnameria pregiata Kemet non disponeva di legname adatto, e quello autoctono era, per di più, scarso.
I vari tipi di palma, il fico, il sicomoro e alcune qualità di acacie non potevano sopperire che a utilizzi per manufatti di bassa qualità e scarsa resistenza.
Quindi la dipendenza dal Retenu, dove le lussureggianti foreste della Fenicia ( Libano) erano inesauribile fonte di Cedro di altissima qualità, o dalla Bassa Nubia, da dove arrivava l’Ebano, i cui alberi crescevano nelle prime propaggini dell’Africa Nera, era talmente vitale che l’intera storia dell’Egitto ci mostra la costante preoccupazione che ebbero i Faroni per mantenere aperte le vie commerciali e politiche con questi paesi.
L’avorio, che sin dalla preistoria venne utilizzato per amuleti, oggetti da toeletta, statuine e per intarsiare i mobili, era risorsa autoctona solo nei denti d’ippopotamo ( l’Egitto ne pullulava). Ma si trattava di materiale di piccole dimensioni e di qualità inferiore rispetto allo splendido avorio fornito dalle zanne d’elefante. Poiché questi animali non erano più presenti in egitto dai tempi della desertificazione ( 9000/6000 AC) Kemet ne importava grandi quantità dalla Nubia, insieme a una moltitudine di animali rari ed esotici che i Faroni apprezzavano per il proprio diletto.
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