RamesseII

Il Faraone

Il Faraone, il tramite fra Kemet e il Mondo Divino

Il Re dell’Egitto Antico è conosciuto con il titolo di Faraone ma questo termine curioso nasce da una semplice assonanza.

Il titolo più frequente con il quale lo identificavano i contemporanei era “ Neswt” non era però infrequente che si usasse un altro termine, “ Per-Aa” scritto con il segno geroglifico che identificava la residenza, la casa, ed era un semplice rettangolo che nel lato lungo inferiore aveva una apertura, a simboleggiare la porta; si leggeva P(e)R e veniva seguito da un secondo geroglifico rappresentante una colonna lignea con capitello che a sua volta si leggeva Aa, ovvero “ grande”.

Pertanto il titolo P(e)r-Aa identificava colui che abitava la grande casa, ossia la Reggia, il Palazzo. I greci, che per primi si accinsero a scrivere la storia organica dell’Antico Egitto storpiarono il termine in Pharaa e da qui Faraone.

Micerino Menkaura e la moglie KhamerernebtiII. IV Dinastia

Egli gode di un potere assoluto, di emanazione divina,ed è destinato dagli Dei a governare su Kemet – cosi gli egizi chiamavano il loro Paese, “ la Terra Nera” con riferimento al colore scuro del limo lasciato dall’inondazione annuale del Nilo, che spiccava sull’accecante bianco del deserto circostante- con il compito di mantenerne l’unità e la stabilità.

Le due terre

Le “ Due Terre” ( altro termine per Egitto che incontrerete spesso e che ricorda il momento fondante del Paese, quando il Faraone Menes/Narmer unificò manu militari il Basso e l’Alto Egitto, il Delta del Nilo e la lunga Valle, intorno al 3000 AC) sono perennemente in bilico tra la pacifica e prospera convivenza sociale ed il caos.

Gli Dei primordiali diedero inizio al Mondo traendolo dal Nun, il nulla cosmico, il disordine assoluto e investirono il Faraone della responsabilità di essere il loro tramite per la conservazione di quanto avevano faticosamente creato.

Ogni antico egiziano viveva nella consapevolezza che l’assenza del Sovrano avrebbe infine scatenato le forze del male e spinto nel vuoto oscuro e informe Kemet con tutti i suoi abitanti.

Quando il Re moriva la preparazione della salma per la vita eterna, i riti indispensabili e le cerimonie della sepoltura dovevano svolgersi entro i settanta giorni canonici, alla fine dei quali il successore doveva essere investito, senza soluzione di continuità.

In quei settanta giorni l’Egitto era come sospeso; le attività non strettamente essenziali erano interrotte, i viaggi annullati, i commerci fermati.

Il Paese tratteneva il fiato poiché mancava chi incarnava e difendeva l’unità delle Due Terre, l’ordine immutabile delle cose, la fertilità della terra con le annuali inondazioni del Nilo, la pacifica convivenza nel rispetto dei sacri principi di Maat, che altro non è se non l’astrazione divinizzata della Giustizia e che comprende l’adesione conformistica alle tradizioni nonché il rispetto pregiudiziale delle gerarchie stabilite.

Quindi, mentre il Faraone defunto s’involava verso il Cielo stellato per divenire a sua volta un astro e continuare a proteggere l’Egitto in compagnia degli Dei che lo avevano assunto fra loro, il nuovo Re si presentava al Paese che lo accoglieva con un’apoteosi di giubilo e sollievo per lo scampato pericolo.

Il potere che viene dagli Dei, il limite etico

La monarchia Egizia è assoluta e, nei limiti dell’esistenza di discendenti, ereditaria.

Il Sovrano è attorniato da una Corte numerosa e tutti gli incarichi ( non altrettanto i titoli, spesso ridondanti e fantasiosi, che seguivano la memoria ancestrale di antiche consetudini) sono distribuiti secondo criteri di competenza e di merito, quasi sempre confermati nella realtà.

Ogni incarico stabilisce un potere effettivo e abbastanza indipendente e, per quanto riguarda il campo amministrativo e fiscale, gravido di forti responsabilità.

L’assunto imprescindibile era però che il decisore ultimo, l’autorità incontraddetta e incontraddicibile, fosse comunque sempre lui, il Re.

In altre parole non esistevano poteri che noi definiamo “ di contrappeso”.
Se però di una sorta di limite, di margine all’arbitrio si può parlare è solo perché il mandato divino non prescinde da un afflato etico e da un programma preciso e inviolabile.

Battaglia di Quadesh

Il Faraone, contrariamente alla figura di un sovrano europeo, dal Rinascimento alla Restaurazione, non ha il possesso privatistico del suo Paese e del suo popolo senza vincolo di sorta, financo la vita e la morte. Il Faraone deve invece esercitare il mandato nell’esclusivo interesse di Kemet e della sua gente.

Anche quando conseguì gloria militare, adulazione, ubbidienza incondizionata e acritica, ogni Faraone citò a gloria del suo agire i risultati pratici e umani del suo operato.

Vantarsi di battaglie vittoriose di conquiste, di riconoscimenti da parte dei Re stranieri non bastava; l’esternazione dei propri meriti parlava sempre di messi rigogliose, di popolazione felice, protetta e ben pasciuta,di giustizia verso chiunque, di benevolente tolleranza e di saggia lungimiranza.

Che tutto questo poi corrispondesse alla realtà effettiva della vita dei sudditi non fu sempre verità. L’arbitrio e la prepotenza si annidavano in ogni piega della società, ieri come oggi, ma l’Egitto, forse per primo, fu capace di enunciare principi che nelle intenzioni, fin dai lontani fondatori, li condannavano.

Giorgio Venturini

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