E qui torniamo a Erodoto: “ L’Egitto è un dono del Nilo”. Con queste parole lo storico greco voleva intendere il prodigioso ciclo annuale dell’inondazione che, stante la sua forza vivificatrice, trovò sin dai tempi più remoti una sua divinità protettrice: il Dio Hapy, l’inondazione!
Di cosa si trattava? Il Grande Fiume, che con i moderni nomi di Nilo, Nilo Azzurro e infine Nilo Bianco nasce dal grande bacino dell’attuale Lago Vittoria e attraversa per molte centinaia di chilometri le zone delle foreste tropicali dell’Africa centrale caratterizzate dai diluvi monsonici della stagione delle piogge, aveva nell’Egitto il suo ultimo tratto.
L’acqua raccolta nell’immenso invaso equatoriale gonfiava il corso del fiume che, verso il mese di settembre di ogni anno iniziava a esondare e ad allagare il territorio oltre le rive.
L’inondazione durava quattro mesi ( l’Egitto divideva l’anno in trecentosessanta giorni, dodici mesi di trenta mesi ciascuno e tre stagioni di quattro mesi: Akhet, la stagione dell’inondazione da settembre a dicembre, Peret la stagione della semina o primavera e Shemu, la stagione del raccolto o estate) e i territori allagati si intridevano d’acqua e si coprivano di un fango altamente fertile che arrivava dalle foreste tropicali, il limo.
Le popolazioni che vivevano lungo il corso del fiume dovevano rifugiarsi sulle alture ai margini del deserto per non essere travolte dalle acque per quasi quattro mesi, ma ben presto scoprirono la formidabile risorsa che nasceva da questo evento meteorologico e impararono ad organizzarsi perché all’inizio del deflusso si potesse trattenere il più a lungo possibile l’acqua tracimata dagli argini, costruendo muretti di sasso e fango, piccoli bacini e canaletti, per trattenere quindi l’acqua necessaria all’irrigazione nella stagione della semina e della crescita.
Questo faticoso lavoro era ovviamente più duro a Sud, nella zona stretta fra alture rocciose e deserti, che non al Nord dove il supplemento di acqua non spostava di molto la disponibilità irrigua, pressoché perenne.
Naturalmente anche dal punto di vista demografico e etnico c’erano vistose differenze: molto più numerosi gli abitanti del Nord ma molto più temprati, tenaci e rudi quelli del Sud, da sempre abituati a contendere al deserto ogni metro di terra.
Maggiore stabilità sociale e organizzazione nelle fertili pianure del Delta, vita più precaria e incerta quella dei cugini dell’Alto Egitto. Era inevitabile che ai primordi gli uni sviluppassero per primi sistemi sociali e organizzativi pacifici, evoluti e concordi mentre gli altri evolvessero in una cultura più tribale, rude e militaresca.
Purtroppo le testimonianze del periodo Predinastico, anche se abbastanza copiose e significative provengono tutte dagli scavi delle tombe, poiché l’edilizia civile aveva caratteristiche di assoluta precarietà ( capanne di fango, tende e qualche costruzione in mattoni crudi che i millenni hanno cancellato). Quindi ogni notizia non può essere altro che attenta interpretazione degli indizi; una fatica veramente improba per gli studiosi.
Il dualismo dell’Antico Egitto, appunto il Nord e il Sud, il Basso e l’Alto resteranno nei millenni la pietra angolare della cultura e del pensiero di questo meraviglioso popolo.
Kemet, e bisogna abituarsi a chiamare l’Antico Egitto con il suo nome originale che significa, come già detto, la Terra Nera per via del colore scuro del limo che ogni anno lo ricopriva, conserverà un continuo riferimento alle sue due anime e territori: Il Sovrano sarà il Faraone delle Due Terre ( Neb Tawy, letteralmente –Il Signore delle Due Terre-), indosserà le due corone o quella che le comprende entrambe secondo l’evenienza, e il solo pensare di dividere il Paese, che solo da pochi anni era stato unificato, sarà per sempre il segno di un sacrilegio neppure immaginabile.