Anche per quanto riguarda la Scienza Astronomica gli Egizi non brillarono molto. Conoscevano molto bene il cielo e le stelle con i loro movimenti, ma ne approfondirono solamente le nozioni che servivano a scopi pratici: orientarsi, posizionare le costruzioni monumentali secondo i punti cardinali, calcolare le stagioni, organizzare il calendario, identificare, riconoscere e venerare gli astri che si legavano alle convinzioni religiose.
Rispetto ai Caldei, veri maghi delle scienze celesti che negli stessi secoli avevano già diviso i pianeti dalle stelle e calcolate distanze ed orbite, gli antichi egizi parvero accontentarsi di conoscenze molto più superficiali e frammentarie. Non si trattava certo di mancanza delle risorse intellettive o culturali per esplorare le scienze celesti, ma di una precisa finalizzazione di ogni e qualunque indagine scientifica.
La speculazione filosofica astratta, quella che a prima vista soddisfa solo la curiosità intellettuale, non veniva tenuta in alcun conto; in tremila anni di storia non si ha traccia alcuna di un puro pensatore. La categoria del Filosofo era sconosciuta; non che mancassero uomini dal pensiero profondo e sottile, dall’umanità intensa e spirituale, ma per potere scoprire queste loro doti bisogna saperle leggere negli scritti, tra una frase e l’altra, tra una considerazione e un rimpianto oppure nascoste nell’ossatura di un testo che parla, magari, di tutt’altro.
Dove erano comunque incontrastatamente primi nel mondo coevo, era nell’organizzazione politico-sociale e nell’efficienza della macchina amministrativa.
Lo strato sociale infimo, quello della gente comune, era ovviamente anche il più numeroso: si trattava dei contadini che lavoravano la terra senza averne il possesso e venivano precettati per il lavoro obbligatorio durante la stagione di Akhet ( l’Inondazione) per la costruzione di ogni sorta di opera pubblica o religiosa.
Tutti erano titolari di personalità giuridica e fruitori dei diritti fondamentali, anche se, nella vita reale, ben pochi possedevano le capacità intellettuali e i mezzi pratici per goderne in caso di necessità, restando quindi spesso alla mercé di soprusi o ingiustizie.
Il fatto che nei testi letterari si incontrino talvolta protagonisti che per spiccate capacità e intelligenza ( definiti con – Iqer-, un aggettivo ad ampio raggio che spaziava da ” astuto”a “capace, brillante, efficace”), riescono ad ottenere giustizia anche a scapito di qualche prepotente di più alto lignaggio, altro non è che la conferma dell’esistenza di un Diritto di principio, ma al contempo anche la constatazione del continuo rischio dell’abuso.
Nei lavori coattivi questa classe coabitava con un gruppo ancora più basso, ancorché anch’esso soggetto di diritti basilari: si trattava degli schiavi, (foto schiavi) ovvero persone che si trovavano in quella posizione perché stranieri prigionieri di guerra o perché attori di una scelta, di valore legale anche se obiettivamente stravagante: un singolo cittadino aveva la facoltà di contrattare la propria libertà, magari per estinguere un debito, sottoponendosi a un rapporto di schiavitù, di solito temporanea.
Salvo l’impossibilità di cambiare datore di lavoro o spostarsi di residenza nel Paese, sappiamo che questo status non influiva né sul suo diritto al salario né sui diritti dei suoi familiari che restavano a tutti gli effetti liberi cittadini. Se le condizioni glielo permettevano aveva la possibilità di un riscatto anticipato. Sembra ancora, da altri documenti, che la vita successiva al periodo di schiavitù potesse consentire di accedere a carriere gratificanti, sia per il soggetto che per i suoi familiari.
Per quanto riguarda i prigionieri di guerra si trattava di una categoria di schiavi cui veniva proposta, anzi caldeggiata, la possibilità di ottenere la liberazione entrando come effettivi nell’esercito del Faraone.
A tale proposito anticipo un breve inciso su un tema che approfondiremo in seguito e che riguarda l’Esercito Egiziano: salvo alcuni brevi periodi e una gran parte della XII Dinastia ( 1990/1790 AC) gli eserciti non erano di leva ma venivano reclutati per singole campagne militari attingendo quanto possibile a soldati mercenari.
Il contadino egiziano serviva in patria, non aveva particolare attitudine alle armi ed era generalmente di indole mite. Gli ufficiali, i genieri, i furieri, gli addetti alla sussistenza erano quasi sempre egiziani, mentre i combattenti erano per lo più soldati di mestiere: arcieri e fanteria leggera i neri di Nubia, fanteria pesante i libici, i palestinesi, i siriani, i mesopotamici e altri provenienti dalle isole del Mediterraneo ( i cosiddetti “ Popoli del Mare”). Dal Nuovo Regno l’esercito si doterà anche di reparti di carri veloci (cocchi) riservati a rampolli della classi più alte.
Un’ultima categoria di lavoratori coatti era rappresentata dai lavoratori forzati in quanto condannati per delitti penali; questi, privati dei beni e dei diritti, erano impiegati per lo più nelle miniere e nelle.cave di pietra.
Il numero degli schiavi fu sempre molto ridotto salvo che nell’immediato periodo che seguiva importanti campagne militari vittoriose, soprattutto nel ” Nuovo Regno” (1550-1070 AC), ma la percezione diffusa che, al contrario, si trattasse di una parte importante della forza lavoro nasce anche da un equivoco linguistico: l’Antico Egiziano usava sovente lo stesso termine- Bak– per identificare sia gli schiavi che i servi.
La differenza, invece, è sostanziale in quanto i ” Servi” erano una categoria di persone libere, vincolate solo dall’interesse a permanere presso i loro signori. Nella vita pratica la loro posizione era molto privilegiata rispetto a quella dei contadini e la quasi totalità delle informazioni che ci pervengono dai documenti, dalle stele funerarie e dai dipinti tombali ci mostrano un rapporto molto stretto e sovente affettuoso da parte delle famiglie dove erano impiegati che, sovente, li consideravano quasi come facenti parte di una più larga parentela.
In ogni caso la figura dello schiavo era molto diversa da quella che sappiamo essere stata nel Mondo Greco e Romano, poiché in Egitto non esisteva il concetto di proprietà delle persone né, quindi, la possibilità di farne mercato; ugualmente non esisteva la potestà di vita o di morte nei loro confronti.